DAL SITO DI REPUBBLICA:

Le ‘migrazioni sanitarie’ sono un costo in più per i pazienti. La soluzione potrebbe arrivare dalla concreta attuazione delle reti oncologiche sanitarie. Se ne parla a Roma in un convegno promosso da All.Can Italia, coalizione che unisce clinici, pazienti e industria
Settemila euro per ‘macinare’ chilometri percorrendo l’Italia. Sono i soldi spesi ogni anno dalle famiglie italiane e non per andare in vacanza ma piuttosto per curare il tumore pagando visite mediche, farmaci, caregiver e appunto viaggi. Secondo i dati del Rapporto Censis “Migrare per curarsi”, infatti, ogni anno più di 90mila italiani colpiti dal cancro sono costretti a cambiare Regione per curarsi. Come fermare questi flussi migratori della salute? E’ la domanda a cui si è cercato di rispondere nell’ambito del convegno nazionale ‘Dalla parte del paziente, il valore della persona: la presa in carico e le opportunità delle reti oncologiche’, organizzato a Roma da All.Can Italia, coalizione che si propone di ridefinire il paradigma di gestione del cancro, adottando un’ottica interamente centrata sul paziente.
La proposta di All.Can
Quello delle migrazioni sanitarie è un problema di vecchia data, ma ora la chiave di volta – almeno per quanto riguarda la cura dei tumori – potrebbe essere la concreta realizzazione delle reti oncologiche regionali. La proposta avanzata dalla piattaforma All.Can Italia, resa possibile grazie al contributo di Bristol-Myers Squibb e AbbVie, è quella di agire in quattro direzioni: riduzione delle migrazioni sanitarie, accesso all’innovazione, punti di ingresso nella rete riconosciuti e vicino al domicilio del paziente, integrazione con la medicina del territorio e con il volontariato.
De Biasi: “Più vicini al letto del paziente grazie alle reti oncologiche
Reti oncologiche: un’occasione per riconvertire la spesa sanitaria.
L’iniziativa segue la recente approvazione in Conferenza Stato-Regioni dell’accordo per la revisione delle Linee Guida organizzative per le Reti Oncologiche, oggi attive in Piemonte e Valle D’Aosta, Veneto, Toscana, Umbria, Liguria, Provincia autonoma di Trento, Puglia e Campania oltre che in Lombardia ed Emilia-Romagna, pur se con configurazioni differenti. “Le reti sono una grande occasione per la presa in carico del paziente oncologico – spiega la senatrice Emilia Grazia De Biasi, Portavoce di All.Can Italia –, che di fronte ad una diagnosi si sente spesso solo e non supportato. Realizzare innovazione organizzativa nelle reti significa garantire al paziente un percorso di cura globale e multidisciplinare, percorsi diagnostico-terapeutici definiti, offrendo un punto di incontro con l’innovazione terapeutica. Porre il paziente al centro significa, infine, farsi carico della persona e degli aspetti sociali oltre che di quelli strettamente sanitari: dall’assistenza domiciliare alla presenza di professioni sanitarie differenti, ad un rapporto nuovo con il medico di medicina generale, che deve essere coinvolto nel percorso di cura. Le reti oncologiche sono dunque un’occasione di riconversione della spesa e risparmio in favore della qualità e dell’appropriatezza delle cure”.
Il ruolo della ricerca nell’ambito delle reti oncologiche
Una delle esigenze da soddisfare è quella di garantire un sostegno economico alla ricerca, favorendo e incentivando le sinergie tra i ricercatori. “Va individuata un’infrastruttura comune per le sperimentazioni cliniche, in grado di promuovere la partecipazione a studi anche nelle realtà periferiche”, afferma Gianni Amunni, vice presidente del progetto Periplo e direttore generale dell’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (ISPRO). “In Italia, nel 2018, sono stati diagnosticati 373.300 nuovi casi di tumore. Il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a cinque anni dalla diagnosi, con un incremento a 15 anni rispettivamente dell’8% e del 15%. Passi in avanti raggiunti grazie alla ricerca, che ha reso disponibili armi efficaci come le terapie a bersaglio molecolare e l’immunoterapia. La rete rappresenta il miglior modello organizzativo per l’oncologia, perché ‘avvolge’ il paziente con l’insieme dei servizi che vanno dagli ambulatori periferici all’alta specializzazione fino alla ricerca”.
La presenza sul territorio per essere vicini ai pazienti
Una delle caratteristiche più importanti delle reti oncologiche regionali è la presenza sul territorio perché proprio la vicinanza al domicilio del malato le rende capaci di intercettare meglio e più velocemente la domanda. “Nelle diverse reti possono assumere vari nomi, ad esempio Centri Accoglienza e Servizi (C.A.S.) in Piemonte e Centri di Orientamento Oncologico (CorO) in Puglia – evidenzia Oscar Bertetto, direttore del Dipartimento Interaziendale Interregionale Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta presso la Città della Salute e della Scienza di Torino. Questi punti hanno compiti di informazione, accoglienza e prima diagnosi dei nuovi pazienti oncologici, con successivo invio ai centri clinici di riferimento, nonché funzioni amministrativo-gestionali e di supporto per tutte le persone colpite da tumore”. Rappresentano una sorta di ‘gate’ per l’accesso facilitato alla rete e, quindi, alle cure, assicurano la presa in carico iniziale del paziente e ne monitorano il mantenimento in carico presso le strutture di riferimento. “Questi punti di accesso – prosegue Bertetto – devono essere distribuiti su tutto il territorio e assicurare un team multidisciplinare composto da oncologo, psico-oncologo, infermiere, assistente sociale, operatore amministrativo e volontari delle associazioni dei pazienti”.
I primi risultati della Rete pugliese

La Rete Oncologica Pugliese (ROP) è stata istituita circa un anno fa e a distanza di poco tempo dall’attivazione registra già i primi risultati incoraggianti. “I dati – spiega Giovanni Gorgoni, direttore generale Agenzia Regionale Strategica per la Salute e il Sociale (AReSS) della Regione Puglia – evidenziano un impatto positivo sulla mobilità sanitaria e anche il linguaggio si è fatto sempre più uniforme, con il rilascio recente dei primi cinque PDTA oncologici regionali”. Sono state, inoltre, create le sotto-reti regionali per Polmone, Prostata, Utero, Colon e Seno in cui rientrano solo i centri in possesso di quelle caratteristiche quali i valori soglia di attività, che li rendono più affidabili. “In queste patologie tumorali – prosegue Gorgoni – le strutture pugliesi sono cresciute nell’offerta di prestazioni, con quasi 700 interventi chirurgici in più e un trend in aumento dell’8%. Gli interventi hanno registrato un incremento del 20% per la prostata, del 10% per il polmone, del 7% per il seno, del 6% per il colon e del 2% per l’utero”.

Rete oncologica campana: prove tecniche di efficienza
Una piattaforma informatica per gestire le informazioni

Una delle conseguenze più serie della migrazione sanitaria è l’impatto negativo sulla qualità di cura e sulla sostenibilità finanziaria del sistema sanitario regionale. “Per poterle arginare in modo efficace – spiega Sandro Pignata, coordinatore scientifico della Rete Oncologica Campana (ROC) – le reti devono prevedere l’attivazione di una piattaforma informatica, indispensabile per governare la domanda e l’offerta oncologica del territorio. In tal modo, la piattaforma si occupa della gestione delle patologie neoplastiche, garantisce a tutti i centri afferenti di contribuire alla piena attuazione di un percorso assistenziale organizzato ed efficiente, non dispersivo per il cittadino, ed in grado di rispondere al bisogno di salute, assicurando una gestione multidisciplinare integrata, aderente alle linee guida, secondo i principi di appropriatezza ed equità di accesso alle cure”.

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